Vicenza

 

 

 
GOFFREDO PARISE nasce a Vicenza l'8 dicembre del 1929 da Ida Wanda Bertoli, nipote cresciuta come una figlia da Antonio Marchetti, proprietario di una piccola fabbrica di biciclette. 
Il padre, un medico veneto, lascia la donna prima della nascita del figlio.
Goffredo trascorre l'infanzia nella casa dei nonni, isolato dalle compagnie dei coetanei, tenuto all'oscuro della sua condizione di figlio della colpa, marchio che Vicenza, la piccola provincia bigotta dei suoi primi romanzi, non esita a dare a quelli come lui.

E' l'aria che si respira nella prima scena de Il prete bello, quando don Gastone porta con sé il piccolo Sergio dalla signorina Immacolata:

"Intende farlo recitare al circolo delle donne cattoliche?" domandò cautamente la signorina Immacolata. Pareva che l'idea non le andasse a genio, ma cercava comunque di non farlo notare.
"Naturale. Mi sembra un luogo fine ed elegante. E anche il bambino mi pare adatto."
"Il piccolo, poveretto, è purtroppo in una condizione particolare per poterlo mettere assieme agli altri. Non sarà facile, voglio dire per i genitori degli altri bambini..."
"Perchè?"
"Oh! "E qui la signorina Immacolata gli si accostò in modo da nascondersi o quasi nelle pieghe del suo mantello." E' figlio di N. N., "aggiunse in fretta e sorridendo; mosse l'occhialino come uno specchietto magico, tanto per distrarmi dalle sue parole. 
Ma io avevo udito benissimo la frase e non capivo la ragione per cui si dovesse nascondere. L'avevo sentita tante volte ed era la verità. Così restai fermo e composto guardando un'esanofele che era entrata nel paralume.1
 
Quella di Goffredo è dunque un'infanzia trascorsa a guardare dal balcone, alimentando fantasia e immaginazione:

"Io stavo sempre al davanzale a guardare gli altri ragazzi che giocavano per strada. 
A me non era permesso andare a giocare con loro".2

Le condizioni economiche della famiglia sono molto modeste perchè il nonno, che agli inizi del secolo aveva raggiunto una discreta posizione economica, ha fallito con la sua attività proprio nell'anno della sua nascita. 
Pagati tutti i debiti, la famiglia si è ridotta alla povertà.
Così lo scrittore ricorda:

"Il nonno aveva una piccola fabbrica di biciclette, ma fallì l'anno in cui sono nato. 
Ma era dolce, buono e abile; io la notte mi sognavo certi giocattoli, e lui di giorno me li costruiva".

La prima abitazione di Parise è in corso Palladio, e nel sottoportico dell'antico caseggiato patrizio il nonno gestisce una magra attività di custode di biciclette.
La famiglia è molto unita, Goffredo ama questi nonni così protettivi, ma vive un'infanzia di riflesso, guardando dal balcone la vita di quei ragazzi di strada che popoleranno le pagine dei suoi romanzi "veneti".

Ero un bambino sempre solo, custoditissimo.
Per sfuggire alla solitudine inventavo un mucchio di giochi che prevedevano l'intervento di altri bambini, ma ero costretto a fingere la presenza di tanti compagni che in realtà non c'erano. Insomma, giocavo da solo in compagnia di amici immaginari.3
La situazione economica migliora alla morte del nonno, nel ‘37, quando la madre sposa Osvaldo Parise (direttore del Giornale di Vicenza), un uomo che proverà per Goffredo l'affetto di un vero padre e che dopo qualche anno gli darà il proprio cognome. 
Nei Sillabari quest'uomo è presente alla lettera C di Carezza.
 
Audio Parte 1
 

 
 
 
       
 
 
 

 
Durante gli anni della guerra, in una Vicenza bombardata e occupata dai Tedeschi, Parise, appena quindicenne, partecipa a suo modo alla Resistenza, collaborando con il Partito d'Azione. 

L'avevo vissuta direttamente e indirettamente nell'Ita­lia del Nord, negli anni '44 e '45. 
Guerra civile, per esattezza. E molto duramente. 
Ma a tredici, quattordici anni non si conosce il valore della vita umana, non fosse altro che per un'abitudine (alla vita) ancora troppo poco radicata. Per cui, perderla, o peggio ancora, l'idea di perderla, non era una tragedia. 
Non avevo paura di nulla, e mi divertivo a passare sotto gli occhi delle SS che perquisivano i civili, con una pistola in tasca. Ricordo, per chi non ricorda, che un civile armato veniva fucilato sull'istante.
Erano epoche di partigiani e anch'io lo ero un po', data l'età, come potevo.4

Appartiene a quegli anni una sua canzone che dice con pungente ironia:

"No, non le bombardate per carità - non le profanate le nostre città. -
Le case, le cose, le chiese - le nonne, le spose, le rose - i vasi di Cellini - polenta e uccellini". 

Nel dopoguerra Parise si iscrive al liceo, ma il percorso scolastico va avanti difficile e stentato, così com’ era stato fin dai primi anni delle elementari.

Racconta la madre in un’intervista:

"Era un disastro. All'esame di quinta elementare il maestro mi mandò a chiamare:
”Ma come posso ammetterlo all'esame, se non è capace di scrivere nemmeno una riga?” ... No, non lo avrei mai immaginato scrittore”5

E Parise dice di sè stesso con buona dose di autoironia:

Asino. Sono sempre stato asino e sempre promosso per il rotto della cuffia forse per mie virtù tutt'altro che sco­lastiche. Ma asinissimo. Perché? Perché tutto, allora, mi era difficile, ogni materia forse salvo filosofia e forse matematica…. In italiano sono arrivato a prendere anche tre zeri perché uno non bastava. La ra­gione? Sempre fuori tema 1...] Ogni anno era la stessa solfa, la stessa speranza di non essere asino, anzi di di­ventare, come d'incanto, il primo della classe come Vian, come Caldana.6

Noia e distrazione sono infatti le costanti del suo modo di vivere tra i banchi di scuola e si fa perfino bocciare per troppe assenze in prima liceo.
Certo è già operante in lui quella frattura insanabile tra realtà e fantasia di cui Parise parla nel rileggere e interpretare la sua genesi di uomo e scrittore, partendo dai ricordi della prima giovinezza:

Ciò che invece ricordo esattamente è che proprio a quel­l'epoca comincia la mia malinconia, originata da una frattura insanabile tra la realtà e la mia fantasia, che mi creava intorno un popolo di sogni meravigliosi. Questa malinconia, allo stato più acuto, è durata circa quindici anni, ma non è scomparsa nemmeno adesso, anzi in fondo dura tuttora e costituisce il fondamento della mia tematica di scrittore.7

Appartiene a questi anni la scoperta della sua passione per la pittura.
Nel ’47 vince il terzo premio alla galleria Bordin di Corso Palladio a Vicenza per un quadro che ha per soggetto un cimitero.
Non è però questa la sua strada:
"Ad un certo punto però buttai i pennelli e scoprii la scrittura"8
...soffrivo molto per il fatto di non saper disegnare: era una limitazione penosissima a cui avrei potuto rimedia­re soltanto frequentando corsi specialistici. 
Poi nel '48 andai a Venezia a vedere la prima Biennale che si tene­va dopo la guerra. 
Era davvero formidabile; nelle sale era rappresentato, con dovizia di scelta, il meglio del meglio dell'arte moderna, da Gauguin a Cézanne, da Modigliani a Picasso, da Chagall a Paul Klee. 
Fui folgo­rato e realisticamente dismisi le mie modeste ambizio­ni. Del resto nei miei quadri c'era proprio un andante narrativo, e così la scrittura m'è parsa il prosieguo natu­rale della mia inclinazione artistica...9 
 
Audio Parte 2
 


1 - G.Parise, Il prete bello, 1954
2 - Dacia Maraini, E tu chi eri?, 1973 
3 - da "Il Sillabario degli scrittori italiani: Goffredo Parise racconta la sua vita", in Novella, 13 febbraio 1966
4 - E. De Boccard, "Goffredo Parise. Conversazione senza complessi con uno scrittore non alienato", in Playmen, aprile 1970
5 - da Gente, intervista a C. Pilolli
6 - da "Ero asino, ma con tante speranze al primo giorno di scuola", in "Corriere della Sera", 16 settembre 1981 
7 - da "Il Sillabario degli scrittori italiani: Goffredo Parise racconta la sua vita", in Novella, 13 febbraio 1966
8 - dal Corriere della Sera, 25 giugno 1985, intervista a G. Amendola
9 - ibid.